NO ALLA DISCRIMINAZIONE NEL SETTING CLINICO, NO ALLE TERAPIE RIPARATIVE

🏳️🌈Il 17 Maggio è l’ IDAHOBIT cioè l’INTERNATIONAL DAY AGAINST HOMOPHOBIA, BIPHOBIA and TRANSPHOBIA.
Si tratta di una ricorrenza promossa dal Comitato Internazionale per la Giornata contro l’Omofobia e la Transfobia e riconosciuta dall’Unione europea e dalle Nazioni Unite. La prima Giornata internazionale ha avuto luogo il 17 maggio 2004, a 14 anni dalla decisione (17 maggio 1990) dell’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, di escludere l’omosessualità dal DSM, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, classificandola come una variante del comportamento.
L’obiettivo della ricorrenza è quello di promuovere e coordinare eventi internazionali di sensibilizzazione e prevenzione per contrastare ogni forma di discriminazione e violenza basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere.
Il termine omofobia fu introdotto da Weinberg nel 1972 per fare riferimento ad una “fobia verso gli omosessuali” cioè “la paura espressa dagli eterosessuali di stare in presenza di omosessuali”. Con la depatologizzazione dell’omosessualità si assiste a una critica del termine e viene preferito OMONEGATIVITA’ in quanto permette un’accezione più globale. Con l’espressione OMO- LESBO-BI-TRANS NEGATIVITA’ si intende l’insieme dei sentimenti negativi provati, più o meno consapevolmente, nei confronti delle persone con un orientamento sessuale o identità di genere differente dal proprio. Tale disprezzo, ostilità o paura affonda le sue radici nei pregiudizi e stereotipi culturali presenti nella nostra società che favoriscono, anche in modo invisibile, un modello eteronormativo. Questo sentimento si traduce in atteggiamenti e comportamenti discriminatori o colpevolizzanti verso l’altro.
In occasione di questa giornata AIPPA Associazione Italiana Per Le Psicoterapie Applicate vuole ribadire la propria CONTRARIETA’, in accordo con il mondo scientifico e clinico, alle terapie riparative o di conversione che ancora, ai giorni nostri, vengono proposte a in alcuni studi di psicologia alle persone che portano una sofferenza rispetto al proprio orientamento sessuale o aspetti della propria identità di genere.
Il Codice Deontologico degli Psicologi mette in guardia i professionisti dall’adozione di pratiche professionali invalidanti, lesive della dignità umana e di dubbia, se non inesistente, fondatezza scientifica. Il Testo, infatti, in maniera del tutto disambiguante, all’art.4 recita testualmente: “Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, ORIENTAMENTO SESSUALE, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche che salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi”.
Nonostante ciò, fa riflettere che gli stessi psicologi, in un’intervista del 2011 a 958 psicologi del Lazio, alla domanda “Se un paziente omosessuale esprimesse disagio rispetto al proprio orientamento sessuale pensa che possa essere utile un intervento psicologico rivolto alla modificazione dell’orientamento sessuale?” il 2% ha risposto “Sì, sempre o quasi”, il 41% invece “Sì, ma solo nel caso in cui sia il paziente/cliente a chiederlo” mentre il 57% ha risposto “No”. Questo significa che è molto probabile trovare terapeuti disposti a “convertire”.
❌MA QUALI SONO LE TERAPIE CHE VOGLIONO “CURARE” L’ORIENTAMENTO SESSUALE?
Le terapie RIPARATIVE hanno origine negli anni ’80 ad opera della teologa E. Moberly e si fondano sul presupposto che l’omosessualità “sopraggiunga” a causa di un disturbo nel normale sviluppo dell’individuo e che di conseguenza debba essere “guarita”. Diffusione e visibilità internazionale risalgono invece agli anni ’90, attraverso gli scritti dello psichiatra americano Socarides, e più recentemente ad opera di Nicolosi, psicologo americano e cattolico conservatore, fondatore e direttore della Thomas Aquinas Psychological Clinic ed ex presidente del NARTH, l’Associazione Nazionale per la Ricerca e la Terapia dell’Omosessualità.
I sostenitori della terapia riparativa pensano che si debba curare l’omosessualità come si curano gli attacchi di panico o la depressione. Autoinvalidazione dell’omosessuale e la preghiera, sono i pilastri della guarigione da una patologia che oggi sappiamo non essere tale.
Si tratta di un approccio in cui regna l’assenza di fondatezza scientifica del corpus di pratiche o metodologie cliniche. Inoltre, l’impatto di questa terapia è spesso devastante: depressione, ansietà, abuso di sostanze stupefacenti, senso di colpa, isolamento, odio verso sé stessi e tentativi di suicidio sono le conseguenze più diffuse di queste pratiche. Secondo un sondaggio realizzato da The Trevor Project nel 2019, e condotto su più di 34 mila giovani LGBTQ negli Stati Uniti, il 42 %delle persone che si sono sottoposte alla terapia della conversione hanno tentato il suicidio, contro il 17 % di quelli che non hanno mai provato la terapia. I numeri aumentano nel caso di persone transgender o genderqueer che si sono sottoposte alla terapia di conversione: i tentativi di suicidio, in questi casi, raggiungono il 57 %.
In Europa, nel marzo 2018 il Parlamento Europeo ha condannato le pratiche di conversione con un’ampia maggioranza. Fino ad oggi, però, solo Malta e alcune regioni della Spagna hanno esplicitamente vietato queste pratiche. I paesi europei in cui si sta discutendo il divieto della terapia di conversione sono: Regno Unito, Irlanda, Paesi Bassi, Francia, Austria. Negli altri Stati la pratica è ancora legale. Negli Stati Uniti la terapia di conversione è legale in tutto il territorio, tranne che in 18 Stati, dove è vietata la sola pratica sui minori.
In Italia lo stesso Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi in vari comunicati si è schierato dalla parte della scienza ribadendo la contrarietà alle terapie riparative. Lo stesso Freud, padre della psicologia, aveva dichiarato esplicitamente nel 1935 che l’omosessualità non era una malattia.
✅QUALE L’APPROCCIO CORRETTO?
Lo psicologo o psicoterapeuta deve ascoltare e capire quella che è la rappresentazione mentale ed emotiva che la persona ha di sé, dei propri desideri e della propria sessualità, promuovendo un ascolto accogliente e non giudicante. Comprendere, insieme alla persona, le motivazioni del disagio e cosa sottende il desiderio di diventare eterosessuale: aspettative, paure. Alla base della sofferenza ci sarebbe infatti un conflitto interno tra l’orientamento sessuale e il contesto socio-culturale cui la persona appartiene – spesso tuttora affetto da discriminazioni e disapprovazione sociale – in grado di indurre nell’individuo uno stato di OMONEGATIVITA’ INTERIORIZZATA che svaluta l’immagine di sé, causando imbarazzo, vergogna, colpa e tendenze suicide. Diventa allora eticamente necessario per i professionisti indirizzare la persona verso la consapevolezza di tale conflitto, aiutandola a superarlo e così liberarla da condizionamenti inconsapevoli e autodistruttivi. Alla base deve esserci quindi un approccio di tipo AFFERMATIVO in cui il terapeuta considera il peso e l’influenza delle ingiustizie sociali nelle vite delle persone LGBTIQ, favorisce l’autonomia, incrementa le strategie di coping e la capacità di formare una rete sociale di appartenenza e aiuta il paziente a esprimere pienamente la sua identità.
➡️In attesa di una LEGGE NAZIONALE che protegga dalla discriminazione e per saperne di più sulle terapie riparative guardate il film “The Miseducation of Cameron Post” 2018, diretto da Desiree Akhavan e presentato nella 7a edizione della rassegna cinematografica Questione Di Genere.
✳️I professionisti di AIPPA Associazione Italiana Per Le Psicoterapie Applicate utilizzano un approccio affermativo ed esprimono la propria CONTRARIETA’, in accordo con il mondo scientifico e clinico, alle terapie riparative o di conversione.