Compassion Focused Therapy (CFT)

La Compassion Focused Therapy (CFT), in italiano “Terapia Focalizzata sulla Compassione”, è un approccio psicoterapeutico facente parte delle Psicoterapie Cognitivo Comportamentali cosiddette di terza generazione.
La CFT è stata sviluppata da Paul Gilbert, professore di psicologia presso l’Università di Derby (Regno Unito), da anni impegnato nella ricerca scientifica sul senso di colpa, sulla vergogna e sull’autocritica.
La CFT offre una spiegazione della psicopatologia e del suo mantenimento basata sullo sbilanciamento di tre sistemi di regolazione emotiva presenti nel nostro cervello (sistema di protezione dalla minaccia, sistema della ricerca di stimoli, sistema della connessione e sicurezza); propone un processo di cambiamento – ribilanciamento dei sistemi emotivi – che avviene tramite l’attivazione e “l’allenamento-training” di un sistema motivazionale innato (la compassione) connesso al sistema dell’accudimento.
In particolare, la compassione verso se stessi, descritta con il costrutto “Self-compassion”, introdotto dalla psicologa e ricercatrice americana Kristin Neff (Università del Texas), si riferisce alla capacità di trattare i propri problemi personali, i sentimenti di inadeguatezza e sofferenza con un senso di calore, connessione ed equilibrio.
Una delle abilità di base della Compassion sarebbe la mindfulness, intesa come la capacità di non farsi travolgere dalle proprie emozioni e dai propri pensieri, notandoli di volta in volta ma senza identificarsi con essi.
🔍 In campo sanitario, diverse ricerche hanno dimostrato i benefici della pratica della mindfulness e della compassion per gruppi di studenti afferenti al corso di scienze infermieristiche (es. Walker, Mann; 2016). Recentemente, in uno studio pilota (Cheli, De Bartolo, Agostini; 2019), tra gli altri risultati, è stato riscontrato come un programma di pratica di mindfulness e psico-educazione, focalizzato su tre aspetti dell’esperienza del lavoro infermieristico (dimensione personale, relazionale e organizzativa), diminuisse il livello di burnout e stress percepito dai soggetti appartenenti al gruppo sperimentale rispetto a quelli appartenenti al gruppo di controllo.
Come sottolineato dagli stessi Autori, sarebbe opportuno effettuare ulteriori ricerche in tale ambito, per avvalorare i risultati su numeri più ampi di soggetti (82 nello studio citato) randomizzando i gruppi.
Lo spunto di riflessione da cui vogliamo ri-partire – in un’altra giornata simbolica come quella di oggi – e parte del nostro lavoro di psicologi, riguarda proprio l’aiuto psicologico e il sostegno che possiamo fornire ai tanti medici, infermieri, operatori sanitari (e a tanti altri professionisti), che in questi ultimi mesi sono stati sottoposti a un’intensità di lavoro, impegno ed emozioni estremamente intensi e che meritano ora più che mai tutta l’attenzione, il supporto e la delicatezza nell’elaborazione dei loro vissuti e delle difficoltà riscontrate in questi lunghi e faticosi mesi.