La forza di disconnettersi

La forza di disconnettersi

Abbiamo parlato si smart working qualche settimana fa.
Oggi approfondiamo l’idea del TECNOSTRESS. Di cosa si tratta?
Nessun confine tra la vita privata e quella lavorativa, rispondere ad una mail di lavoro alle 10 di sera, ad un messaggio di whatsapp di un collega la domenica mattina, sempre connessi altrimenti abbiamo l’ansia di essere tagliati fuori da qualcosa di importante, sono situazioni che abbiamo vissuto. E’ molto difficile dare uno stop? Trovare un momento per noi stessi che non implichi una device elettronica? Semplicemente vagare con la mente non si sa dove sembra un pensiero romantico di altri tempi.

Lavorare da casa fa bene? Di certo può generare risparmi per i datori di lavoro, tagliando i costi degli uffici tradizionali. Ma che cosa accade alle tasche del lavoratore, al suo benessere e a quello della sua famiglia? E soprattutto chi vigila sulla sicurezza dei luoghi e sul rispetto degli orari previsti oggi per lo smartworking? O degli obiettivi che si vorrebbero introdurre in futuro? Sono questi tutti interrogativi aperti dopo che il Covid-19 ha catapultato milioni di dipendenti pubblici e privati nel mondo del lavoro in remoto. Con il rischio di fondo che, ideato come strumento positivo di flessibilità, lo smartworking possa trasformarsi in una trappola da tecnostress. Senza peraltro alcuna vigilanza per assenza di norme ad hoc e problemi di privacy.
Finora infatti lo smartworking è stato solo una piccola nicchia. L’ultima indagine dell’Osservatorio smartworking del Politecnico di Milano (ottobre 2019) registrava in Italia la presenza di 570mila smartworker, cioè lavoratori che svolgono parte dell’attività al di fuori dell’ufficio, in modalità flessibile, a parità di orario e stipendio. A giudicare dallo storico registrato dall’Osservatorio, gli smartworker pre-Covid-19 sono soddisfatti della loro scelta pur lamentando difficoltà come la percezione di isolamento (35%), le distrazioni esterne (21%), i problemi di comunicazione e collaborazione virtuale (11%) e la barriera tecnologica (11%).
Intanto l’avvento dell‘industria 4.0, che facilita lo smartworking, ha portato in dote un aumento delle patologie da stress. “Negli ultimi anni, dal punto di vista della salute sul lavoro, accanto alle patologie tradizionali, abbiamo registrato l’aumento delle problematiche legate alla salute mentale, cioè all’equilibrio psicofisico, a fattori psicosociali di rischio lavorativo che ha identificato anche l’Inail”, spiega Umberto Candura, presidente dell’Associazione nazionale medici d’azienda e competenti (Anma). La colpa non è naturalmente dello smartworking, ma di un cambiamento epocale legato a doppio filo con la smaterializzazione dei luoghi di lavoro.
C’è un diritto alla disconnessione? Dobbiamo essere sempre connessi?
La flessibilità del lavoro agile porta a volte a non avere limiti di orari sino ad estendere l’impegno all’intera giornata, imponendo sovrapposizioni al lavoro domestico e di cura dei figli in spazi abitativi non adeguati. Per la nostra salute è importante creare una routine, organizzare spazi e tempi di lavoro distinti da quelli privati e ritagliare momenti “vuoti” di disconnessione per ritrovare il tempo personale.

 

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